SANTUARIO DEI CETACEI
DEL MAR LIGURE

Breve storia del Santuario dei Cetacei del Mar Ligure
1990-91 - La nascita dell’idea
L’Istituto Tethys propone il Progetto Pelagos, per la creazione
di una Riserva della Biosfera nel bacino Corso-Liguro-Provenzale,
che mostra la più alta concentrazione di cetacei tra tutti
i mari italiani e probabilmente rappresenta l’area faunisticamente
più ricca dell’intero Mediterraneo. Nel bacino si
trova inoltre il principale sito di alimentazione per la balenottera
comune in Mediterraneo.
1993 - Primo passo ufficiale
Il giorno 22 marzo i rappresentanti dei Ministeri dell'Ambiente
di Francia e Italia e il Ministro di Stato del Principato di Monaco
firmano a Bruxelles una Dichiarazione relativa all'istituzione
di un Santuario Internazionale dei Cetacei del Mar Ligure.
1999 - Il Santuario diventa realtà
Il 25 novembre i Ministri si sono incontrati a Roma per firmare
l’accordo definitivo che sancisce l’istituzione del
Santuario. L’area di circa 100.000 Km2 comprende le acque
tra Tolone (costa francese), Capo Falcone (Sardegna occidentale),
Capo Ferro (Sardegna orientale) e Fosso Chiarone (Toscana).
L'evidenza scientifica
Il tratto di mare interessato dal Santuario è
una porzione del Mediterraneo estremamente ricca di vita pelagica,
e senz'altro la più importante dell'intero bacino per via
delle popolazioni di cetacei che ospita.
Dall'estate del 1988 l'Istituto Tethys inizia una serie di ricerche
sui cetacei nei mari italiani, e in particolar modo nel bacino
Corso-Liguro-Provenzale, da cui appare chiaramente, in termini
di frequenza di avvistamento, la netta superiorità di quest'ultima
regione sui restanti mari d'Italia. Nel 1992 viene effettuato
un censimento sulla superficie del futuro Santuario da parte dell'Istituto
Tethys, da Greenpeace e dall'Università di Barcellona,
che consente la stima numerica delle stenelle (32.800 esemplari)
e delle balenottere comuni (830 esemplari) presenti nella zona
nel periodo estivo.
Dal "Progetto Pelagos" al Santuario
La proposta dell'istituzione di un regime di protezione
per i cetacei nel bacino Corso-Liguro-Provenzale nasce con il
nome di Progetto Pelagos e viene presentata a Milano il 23 marzo
1990 dall'Istituto Tethys all'Associazione per la Fondazione Europea
Rotary per l'Ambiente, che ne ha finanziato lo studio preliminare.
Il Progetto Pelagos propone l'istituzione di una Riserva della
Biosfera nel bacino Corso-Liguro-Provenzale, che avrebbe dovuto
essere gestita da un'autorità internazionale creata da
Francia, Italia e Monaco, e con sede nel Principato.
Il Progetto Pelagos viene presentato ufficialmente al Museo Oceanografico
di Monaco il 2 marzo 1991, alla presenza del principe Ranieri.
Nel 1992 si verificano, sia in Italia che in Francia, le condizioni
politiche ideali perché un'iniziativa come il Progetto
Pelagos potesse destare interesse presso le rispettive Amministrazioni.
Viene costituita una commissione di lavoro, composta da rappresentanti
dei tre Stati e delle comunità locali, e con la partecipazione
di esperti del mondo scientifico, giuridico e ambientalista. La
commissione ha prodotto il testo della Dichiarazione Congiunta
relativa all'Istituzione di un Santuario Mediterraneo per i Mammiferi
Marini. Questa dichiarazione prevede l'istituzione del Santuario,
la designazione di un'autorità competente a coordinarne
la gestione, e l'adozione di misure appropriate (tra cui il divieto
di catture deliberate e di turbative intenzionali per motivi di
ricerca, l'uso di reti pelagiche derivanti, la lotta contro l'inquinamento,
la regolamentazione ed eventualmente il divieto di competizioni
off-shore, la regolamentazione delle attività di whale-watching,
e infine l'incoraggiamento di programmi di ricerca e di campagne
di sensibilizzazione del grande pubblico) per garantire ai mammiferi
marini della regione e ai loro habitat uno stato di conservazione
favorevole. Si arriva così alla firma della Dichiarazione,
sottoscritta a Bruxelles il 22 marzo 1993 in concomitanza con
un Consiglio Ambiente della Comunità Europea. Presenti
il Ministro dell'Ambiente francese Ségolène Royal,
il Ministro dell'Ambiente italiano Valdo Spini e il Ministro di
Stato del Principato di Monaco.
Il 29 settembre 1998 il Santuario del Mar Ligure è più
vicino alla sua realizzazione, grazie alla presa di posizione
del Governo Italiano che si impegna ufficialmente a promuovere
la causa del Santuario con i governi francese e monegasco. Nell’ottobre
1999 i Ministri dei tre stati si riuniranno a Roma per la firma
definitiva che sancisce la nascita ufficiale del Santuario, la
cui idea originaria fu proposta dall’Istituto Tethys 10
anni fa. "E’ con grande soddisfazione e orgoglio che
diamo il benvenuto al neonato Santuario - dice Margherita Zanardelli,
Presidente dell’Istituto Tethys - questo è un passo
molto importante per la conservazione dell’ambiente marino
mediterraneo. Siamo entusiasti nel vedere le nostre idee di anni
fa diventare una realtà; grazie al supporto che organizzazioni
governative e non-governative hanno dato alla nostra proposta
un nuovo capitolo si sta aprendo per i cetacei del Mediterraneo.
Per la prima volta in Europa tre nazioni mediterranee hanno unito
le loro forze per creare un’area protetta che in gran parte
si trova in acque internazionali; quello che speriamo è
che questo rappresenti un modello da imitare in altre zone del
bacino del Mare Nostrum.
Il santuario infangato
Sul
finire del 1999 Greenpeace ha denunciato il programma di smaltimento
in mare dei fanghi di dragaggio del porto di Piombino. Nel progetto
di ampliamento dello scalo era prevista la rimozione di circa
200.000 m3 di sedimenti, da scaricare nei fondali del neocostituito
Santuario internazionale dei cetacei. Greenpeace si era opposta
a questa ipotesi.
Non è infatti possibile affermare, come è invece
indicato nel progetto, che il fondale di un porto ad alto traffico
industriale abbia le stesse caratteristiche di un fondale di mare
aperto. Greenpeace contesta quindi che questo travaso di fanghi
sia senza conseguenze per l'ecosistema marino, tanto piu' all'interno
del Santuario dei cetacei.
Anche soltanto valutando i risultati delle analisi effettuate
prima dall'ARPA Toscana e poi dall'ICRAM (l'Istituto Centrale
per la ricerca Applicata al Mare), risulta quantomeno discutibile
la presunta equivalenza ipotizzata. Infatti i dati di questi studi
rivelano concentrazioni di inquinanti in alcuni casi superiori
a quelle rilevate in altre aree industriali. Questi valori, rapportati
a parametri previsti in legislazioni di altri Paesi, rivelano
chiaramente la contaminazione dei fanghi esaminati, e in alcuni
casi i valori inquinanti risultano così alti da rendere
obbligatorio lo smaltimento a terra in discarica controllata,
come per i rifiuti industriali pericolosi.
Sottolineando la vastità dell'area da dragare e quindi
la necessità di ulteriori indagini, Greenpeace aveva effettuato
altri quattro campionamenti. A fine dicembre sono stati resi noti
questi nuovi dati, che sono risultati in alcuni casi anche notevolmente
diversi da quelli precedentemente raccolti. In particolare, le
nuove analisi hanno rivelato un alto livello di contaminazione
da idrocarburi policiclici aromatici (IPA), composti tossici che
hanno origine dai processi di combustione.
Dal
punto di vista fisico, inoltre, non è possibile considerare
i fanghi di dragaggio come un materiale omogeneo, il che vuol
dire che, una volta portati nel luogo di destinazione, non conserveranno
a lungo lo stato di copertura uniforme del fondale: si calcola
che circa il 20% dei sedimenti da trasferire è di dimensioni
tali da essere facilmente trasportato dalle correnti marine, e
quindi contaminare un'area molto piu' vasta. Come riportato nel
documento del Mediterranean Action Plan dell'UNEP (Guidelines
for the management of dredged material, 1999 Art. 6.3), "nell'ipotesi
di incertezza sulla possibile diffusione dei contaminanti marini
che potrebbero portare all'aumento della possibilità di
spostamento dell'inquinamento, lo scarico di materiale dragato
in mare aperto dovrebbe essere vietato". 
In ogni caso va respinta decisamente la teoria secondo la quale
materiali non inquinanti possono essere gettati a mare. Come sottolineato
in una delle lettere inviate al Ministro dell'Ambiente Edo Ronchi
per sollecitare un suo intervento, si correrebbe il rischio di
giustificare lo scarico in mare di materiali inerti ingombranti,
come ad esempio gli scarti edili, che rappresentano al momento
un problema non secondario dello smaltimento dei rifiuti.
Greenpeace considera quindi inaccettabile qualsiasi ipotesi di
scarico a mare dei fanghi del porto di Piombino, tantopiù
in un'area tutelata a livello internazionale.