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Acquacoltura
Acquacoltura
 

Cos’è l’acquacoltura

L’acquacoltura consiste nell’allevamento di organismi acquatici (marini o d’acqua dolce), il cui ciclo di sviluppo viene controllato dall’uomo sia in ordine alla riproduzione e alimentazione, sia attraverso interventi sull’habitat. Tale attività è finalizzata all’aumento della produzione di pesci, crostacei, molluschi e vegetali acquatici che, a causa dello sfruttamento indiscriminato delle risorse marine, la pesca tradizionale non è più in grado di assicurare. Si tratta di un’attività che, se dal punto di vista commerciale è posta in relazione con la pesca (per quanto riguarda il prodotto, gli aspetti sanitari concernenti gli impianti di lavorazione e trasformazione, nonché le dinamiche di mercato), sotto il profilo giuridico è considerata, invece, attività agricola, sia dalla normativa comunitaria, che da quella nazionale.

L’acquacoltura, a livello mondiale, riguarda pesci, crostacei, molluschi e alghe che la FAO (Food and Agricolture Organization) ha classificato in 250 specie, di cui solo 65 vengono commercializzate in Italia. Di queste le più diffuse sono la trota - per la cui produzione, in Europa, l’Italia è seconda solo alla Francia - la spigola, l’orata, il cefalo, i mitili, le vongole, le ostriche e l’anguilla (la cui produzione copre il 38% della produzione europea, v. prospetti 2 e 3).
In Italia l’acquacoltura può essere suddivisa nei seguenti segmenti produttivi (vedi anche grafici 10 e 11):

  • piscicoltura (trote , orate, spigole, cefali, saraghi, dentici, ombrine, anguille, carpe, pesci gatto,. storioni, etc.);
  • molluschicoltura (mitili e vongole veraci);
  • crostaceicoltura;
  • coltivazione di alghe e piante acquatiche.

L’acquacoltura viene praticata in mare, privilegiando gli insediamenti naturalmente riparati (insenature, fiordi, ecc.), anche se oggi i moderni materiali e le nuove tecniche permettono la realizzazione di strutture in mare aperto; in acque interne o dolci (ruscelli, fiumi, laghi, bacini naturali o artificiali) e in valli da pesca (c.d. “vallicoltura”), lagune costiere e bacini d’acqua salmastra che siano, naturalmente o artificialmente, collegati con il mare (stagnicoltura).

In Italia gli impianti più importanti di vallicoltura sono ubicati soprattutto nel nord del Paese ed in particolare in Veneto, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia, mentre possono trovarsi esempi di stagnicoltura soprattutto nel Lazio, in Toscana ed in Sardegna.
Per quanto riguarda le tecniche ed i sistemi utilizzati, l’acquacoltura si distingue in “estensiva”, “semi-intensiva” ed “intensiva”. Nel primo caso, l’intervento dell’uomo è limitato alla gestione idraulica e all’approvvigionamento delle specie allevate con un’alimentazione naturale, sfruttando le naturali predisposizioni degli organismi allevati e le condizioni delle maree, correnti, temperatura e salinità delle acque nel cui contesto avviene la “semina” degli esemplari giovani da parte dell’allevatore. Tale forma di allevamento consente di conservare ambienti acquatici naturali altrimenti destinati ad essere bonificati, garantendo, attraverso l’utilizzo di accorgimenti tesi alla salvaguardia dell’ambiente, l’equilibrio ecologico della valle e dello stagno.
Il sistema semi-intensivo si distingue da quello appena illustrato solo in quanto l’uomo interviene nell’alimentazione, integrando la dieta naturale degli organismi, e nei controlli, utilizzando misure di difesa dalle patologie e dai predatori.
L’apporto umano diventa fondamentale nell’acquacoltura di tipo intensivo, caratterizzata da interventi tecnologici volti a creare un ambiente più idoneo alla crescita del pesce, grazie all’impiego di moderne pratiche zootecniche di itticoltura.
Questo tipo di allevamento si attua tanto in mare, con l’ausilio di gabbie e recinti, tanto sulla terra ferma, con vasche costruite in cemento o in terra.
Contrariamente a quanto avviene in vallicoltura e in stagnicoltura, in cui, grazie alla naturale capacità di autodepurazione biologica delle lagune, le acque emesse esternamente sono qualitativamente migliori di quelle immesse, negli allevamenti intensivi una grande attenzione deve essere data all’impatto ecologico dell’immissione nell’ambiente di acque cariche di sostanze di vario genere, quali cibo non consumato, feci e urea, che possono recare danno all’ambiente marino e alla vita che in esso si svolge.


Sviluppo sostenibile dell’acquacoltura

La Commissione europea ha di recente affrontato la problematica della sostenibilità dello sviluppo dell’acquacoltura presentando, per la prima volta, al Consiglio e al Parlamento europeo una Comunicazione concernente l’elaborazione di una strategia da realizzare con il coinvolgimento di tutti gli attori interessati al settore, siano essi Pubbliche Amministrazioni nazionali o locali, o entità private, quali, ad esempio, associazioni consumatori, ambientalistiche, ecc..
Nel prossimo decennio, per poter agire coerentemente con il carattere “sensibile” del settore, tanto da poter garantire impiego a lungo termine e sviluppo delle zone rurali e costiere e offrire, sia a livello di prodotti che di occupazione, delle alternative alla pesca tradizionale, l’acquacoltura dovrà confrontarsi con i problemi derivanti da esigenze di protezione sanitaria, di impatto ambientale e di instabilità del mercato, aspetto quest’ultimo che la Commissione ha identificato quale punto debole del settore per la volatilità dei prezzi.
C’è da dire che se, da una parte, il consumo dei prodotti ittici in generale risulta essere in forte crescita, dall’altra, l’opinione pubblica manifesta ancora una certa diffidenza nei confronti del pesce allevato.
In alcune regioni, poi, è riscontrabile una maldisposizione verso l’acquacoltura derivante dalla consapevolezza degli effetti inquinanti che alcuni tipi di allevamento possono avere sull’ambiente. Infatti, negli impianti intensivi e semintensivi circa la metà degli alimenti viene rimessa nel corpo idrico. Questo problema viene sentito particolarmente nelle aree a vocazione turistica, che sono anche i migliori mercati per lo sbocco delle produzioni ittiche.
Altro fattore che determina gravi difficoltà nella commercializzazione, e che può determinare una vera e propria crisi del settore, è la massiccia importazione di specie eurialine di piccola taglia, provenienti dai Paesi del Mediterraneo ed in particolare da Grecia e Turchia, la cui produzione – a costi molto inferiori - è meno controllata sotto il profilo igienico-sanitario .
In virtù di tutto ciò, la Commissione europea ha voluto porre l’accento sulla necessità di garantire dei prodotti salubri, di buona qualità e ottenuti con procedimenti che tutelino la salute e il benessere degli animali, nonché di sviluppare una forte interazione tra acquacoltura e ambiente attraverso l’adozione da parte delle imprese di pratiche, anche innovative, di allevamento che ne assicurino la sostenibilità ambientale.
Per tali fini, la Commissione europea suggerisce di intensificare l’attività di ricerca (finora finanziata esclusivamente con risorse nazionali) autorizzando la concessione di contributi anche nel quadro dei programmi nazionali finanziati dallo SFOP.
Un altro obiettivo che la strategia dell’UE si propone è quello di far nascere, in particolare nelle regioni europee con forte propensione alla pesca, quanto più possibile impieghi stabili, con la previsione della creazione da 8.000 a 10.000 posti di lavoro a lungo termine tra il 2003 e il 2008 ; a tal proposito, si richiedono maggiori sforzi anche per l’attività di formazione, per permettere, in futuro, l’occupazione di personale tecnico e dirigenziale qualificato (anche femminile per sviluppare le pari opportunità). Viene da sé che la realizzazione di questo obiettivo non può prescindere dalla risoluzione dei problemi sopra accennati.
Alla luce di quanto fin ora esposto, la Commissione europea auspica che si concretizzi una serie di azioni strutturali volte a sviluppare gli strumenti necessari a seguire l’evoluzione della produzione e dei mercati, dandone informazione agli addetti al settore, a migliorare la commercializzazione, le campagne promozionali e pubblicitarie, nonché a promuovere il partenariato tra i produttori, a livello locale, nazionale ed internazionale.
D’ora in avanti gli aiuti pubblici dovranno riguardare sempre meno gli investimenti che incrementano la produzione di specie ittiche il cui mercato è prossimo alla saturazione , e favorire, piuttosto, la diversificazione delle specie allevate, lo sviluppo della produzione “biologica” – per la quale sarà necessario stabilire norme e criteri specifici comuni a tutte gli Stati membri - la ricerca, il trattamento dei reflui, l’eradicazione delle malattie, il controllo della qualità dei prodotti sul piano igienico-sanitario e tutte quelle iniziative volte al raggiungimento di elevati livelli di compatibilità ambientale.
In definitiva, occorrerà promuovere lo sviluppo di tecnologie cosiddette “pulite”, frenando le iniziative di quei produttori che non dimostreranno un’adeguata sensibilità nei confronti delle buone pratiche di allevamento, e agevolando quelli che, al contrario, ne faranno un uso ampio e corretto.
Concludendo, la strategia comunitaria per lo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura deve evidentemente essere in assoluta coerenza con le strategie di protezione dell’ambiente di cui l’Unione europea è promotrice, nonché con le indicazioni contenute nel “Codice di condotta FAO ’95 per una pesca responsabile” , che l’Unione stessa ha sottoscritto.